Hashtag, hashtag, hashtag… basta fare una veloce rassegna delle varie bacheche social per accorgerci che il simbolo del cancelletto (così simile a una partita di tris) sta letteralmente invadendo la nostra comunicazione. A volte il suo impiego è virtuoso, altre volte risulta un po’ cacofonico. Ma da dove vengono gli hashtags? Sono utili all’interno di una strategia sul web? Facciamo un po’ di luce!
Cosa sono gli hashtag e perché li usiamo.
L’hashtag non è altro che un’etichetta, un aggregatore tematico che permette di riunire, sotto un’unica o più parole, i contenuti di diversi utenti attorno a uno stesso argomento. In passato, prima dell’esplosione dei social network, si chiamavano semplicemente TAG (parola inglese per “etichetta”). In seguito, si sono arricchiti nella forma, e oseremmo dire nella popolarità, accompagnandosi al simbolo cancelletto (in inglese “hash”, appunto).
Gli hashtags permettono agli utenti di navigare in modo ipertestuale, consentendo di trovare con estrema facilità dei messaggi collegati ad un dato argomento di interesse. Il loro utilizzo sconfina però anche al campo della partecipazione, spingendo gli utenti alla discussione attorno a un tema in particolare, un “tema caldo”. Il primo social network ad utilizzarlo in questa forma è stato Twitter, che ha ufficialmente introdotto gli hashtags nel 2009 (benché alcuni utenti li stessero già usando da qualche tempo, addirittura nel 2007). Gli altri social lo hanno poi seguito a ruota libera (Facebook nel 2013), diventando tanto celebri da essere addirittura inseriti nell’Oxford English Dictionary.
Hashtag tra uso e abuso: qual è la miglior strategia?
Essendo così celebri, lo studio e l’impiego degli hashtag nella comunicazione di aziende e brand non devono essere lasciati al caso. Questo è ancora più vero se pensiamo che alcuni social funzionano solo ed esclusivamente attraverso gli hashtags. Prendiamo ad esempio Instagram: la visibilità dei contenuti è assolutamente legata alle etichette dei nostri post. #Picoftheday, #Follow4Follow, #Igers aprono le porte a milioni di foto postate dagli utenti.
Questo non vuol dire certo che i nostri contenuti debbano essere veicolati solo attraverso gli hashtags più comuni e più popolari. Finiremmo per annegare nella marea di post condivisi da altri utenti, nella vana speranza di essere notati da un pubblico sempre più distratto e preso di mira dal bombardamento (social)mediatico. Meglio piuttosto concentrare l’attenzione ad hashtag più pertinenti, intercettando non un vasto pubblico di condivisori compulsivi, ma una nicchia potenzialmente interessata al nostro messaggio.
C’è chi poi trasforma l’uso in abuso, sommergendo i propri post di hashtag inutili, spesso discordanti fra loro. Anche questa è una prassi da evitare, se non altro per correttezza e coerenza rispetto a quanto si sta cercando di comunicare. Come sempre, in medio stat virtus: meglio puntare a un numero contenuto di hashtags, pertinenti ai nostri post e indirizzati il più possibile a target specifici.
Soprattutto, non bisogna dimenticare che un hashtag è solo uno strumento per veicolare i nostri contenuti: un aiuto in più per diffondere i nostri messaggi. Ma a monte di tutto, ancor prima della giusta keyword, ci deve essere sempre un messaggio confezionato a dovere, mirato e studiato in base ai nostri obiettivi. Perché forse è questa l’unica vera etichetta: fare #comunicazione.